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Fraternità
tra i popoli: utopia o speranza |
Lo apriamo e
leggiamo quella stessa pagina che abbiamo letto ora insieme:
“Padre... che tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21): è la preghiera-testamento che
Gesù pronuncia prima di morire.
Abbiamo
l’impressione, per una grazia un po’ speciale, di capire un po’
quelle parole difficili e forti. Ci diciamo: se il nostro babbo,
la nostra mamma sul letto di morte ci dicessero la loro ultima
volontà, la custodiremmo come il tesoro più prezioso... Ma qui è
un Dio che va a morire per noi e ci lascia un testamento! |
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Ci nasce in
cuore la convinzione che è per attuare quella pagina che siamo nate: per l’unità, per contribuire all’unità degli
uomini con Dio e fra loro. Quella pagina diventa la magna charta
del Movimento che stava nascendo.
Qualche tempo
dopo, consce della difficoltà, se non dell’impossibilità di
mettere in pratica tale programma, ci sentiamo spinte a chiedere
a Gesù la grazia di insegnarci Lui il modo di vivere l’unità.
Quasi senza accorgerci, o almeno senza prendere accordi
speciali, ci siamo trovate un piccolissimo gruppetto davanti a
Gesù Eucaristia, nella sagrestia-cappella allestita alla meglio
dietro l'abside di una chiesa distrutta. Intorno all'altare,
unite, abbiamo chiesto che lui stesso ci insegnasse come
realizzare il suo testamento. Fu un momento memorabile che solo
più tardi cominciammo a capire quando ogni giorno, anche
faticosamente, ricomponevamo la carità sempre più stretta fra
noi.
Quel giorno era l’ultima domenica d’ottobre del 1945, festa di
Cristo Re. Ci colpisce una frase della liturgia: “Chiedi a me e
ti darò in eredità tutte le genti e in possesso gli ultimi
confini della terra” (dai Salmi 2 e 8). Ricordo uno sguardo
d’intesa tra noi: “E’ Gesù che ce lo dice!”. Usciamo dalla messa
sicure: Lui ci darà quanto ha promesso. Come? Non sappiamo. Ci
penserà Lui».
In questi 64 anni abbiamo visto che Lui ci ha pensato. Questo
Ideale è arrivato in 182 nazioni. Lo testimonia anche
l’esperienza di Ceci del Messico che ora ascoltiamo.
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Ceci
- Messico
Il "Che tutti siano uno" di
Gesù ha toccato la mia anima azteca
Sono
orgogliosa di essere un’indigena della Sierra Huasteca Hidalgo,
un altopiano dove la natura è bellissima. Parliamo Nahuatl, la
lingua dell’antico popolo Azteco, di cui siamo i discendenti.
Abbiamo i nostri costumi, la nostra religione. Lavoriamo la
terra e coltiviamo mais, fagioli, caffè.
Accanto alla bellezza di questa cultura millenaria, il mio
popolo sperimenta anche sofferenza, povertà, analfabetismo,
emigrazione e discriminazione, in particolare noi donne.
Finita la scuola elementare per poter continuare gli studi ho
venduto pane, lavato vestiti, ho fatto altri lavori in città
dove ho sperimentato la discriminazione sulla mia pelle.
Un giorno con mia madre siamo state invitate nella Mariapoli che
da questa Valle di Primiero è arrivata anche in Messico. A
tavola una ragazza ha preso il mio piatto per servirmi la
minestra. L’ho guardata stupita: di solito ero io a servire gli
altri… poi mi hanno dato un letto già pronto: era bellissimo! Mi
sentivo come una regina. Nessuno mai mi aveva trattata così.
Poi, siccome faceva tanto freddo, mi hanno dato una giacca, le
scarpe, quello di cui avevo bisogno… senza chiedermi nulla. Ero
andata per stare tre giorni, invece sono rimasta 15. Ho lavorato
in pasticceria ed ho fatto un’esperienza nuovissima: non ho
trovato quella gerarchia a cui ero abituata, ho ritrovato la
dignità della mia persona, la vera libertà. Con amore e pazienza
ho imparato ad amare ciascuno.
L’ideale di Chiara ‘che tutti siano uno’ ha toccato la mia anima
azteca. L’amore è entrato nella mia famiglia ed è iniziata una
vera rinascita per tutti: serenità, dignità, fraternità tra noi,
con i bianchi e con i meticci. Ho scoperto un mondo fatto di
tanti popoli che vogliono amare.
Ora siamo in molti impegnati nella promozione dei nostri popoli
e in una partecipazione democratica che valorizzi la nostra
storia e la nostra cultura: c’è chi è impegnato nell’università
azteca, chi in ‘equipe sanitarie’ che rag-giungono i villaggi a
piedi o a cavallo, e chi assume compiti di rappresentan-za dei
nostri villaggi.
A Santa Cruz, ad esempio, per un anno è stato eletto
responsabile della comunità Marcelino. Era sorpreso e indeciso
perché vivevano del suo lavoro. D’accordo con la moglie ha
scelto di lavorare il doppio, ma di accettare per amore della
propria gente, Si è occupato dello sviluppo economico,
religioso, culturale, di questioni legali e dei rapporti della
nostra comunità con una cittadina vicina. Ha cercato la
collaborazione tra tutti e con tanto impegno, anche stando a
lungo in silenzio davanti al Municipio, è riuscito a far
pavimentare strade e far costruire 152 piccole case. Alla fine
la comunità si è trovata più matura. In una riunione dei
rappresentati politici locali con le comunità indigene, Santa
Cruz è stata portata come esempio di convivenza civile e
democratica, per come aveva operato davanti alle difficoltà.
Una volta Chiara Lubich mi ha scritto: “ora lascia che Gesù
sogni in te…”. Mi sembra che tutto questo si stia realizzando;
voglio dare la mia vita perché si sperimentino i frutti
dell’unità non solo nel mio popolo, ma in tutta l’umanità.
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Guido Yang - Corea
L'ideale dell'unità si è
trasmesso di bocca in bocca
Mi chiamo
Guido Yang, vengo dalla Corea, ho 28 anni, lavoro nel campo
dell’arte come disegnatore di cartoni animati.
Ho avuto la gioia di conoscere questo Ideale dell’unità in
famiglia, perché già mio padre, mia madre e i miei due fratelli
lo avevano conosciuto. Io avevo 12 anni ed ero un ragazzo molto
timido (e lo sono ancora) quello che mi ha colpito nelle persone
del movimento è vedere che erano ‘aperte’ verso gli altri e lo
esprimevano col sorriso (il nostro è un popolo assai ‘serio’); e
poi mi colpì la disponibilità, il senso di fratellanza, in una
parola: l’amore vissuto. Ho aderito molto volentieri a questa
proposta evangelica e così mi sono collegato con tanti altri
giovani nelle principali città della Corea (Seul, Daegu e Pusan).
In questi giorni, pensando al solenne momento che avremmo
vissuto questa sera mi è passato nella mente un pensiero: il
cristianesimo in Corea è arrivato dalla Cina alla fine del 1700
grazie ad alcuni documenti, alcuni testi cristiani che, letti da
alcuni coreani, tradotti e diffusi, hanno fatto nascere la vita
cristiana nel nostro Paese; solo più tardi sono arrivati i
missionari. Così è stato anche per l’ideale dell’unità: nel 1960
un sacerdote coreano che si trovava a Roma per studi ha
conosciuto le prime focolarine; questo incontro ha cambiato
tanti suoi modi di pensare e di fare. Nelle sue lettere che
scriveva in Corea raccontava cosa gli stava accadendo e del
meraviglioso ideale evangelico che aveva trovato. Queste
lettere, diffuse fra i suoi amici sono state la scintilla della
diffusione dell’Ideale dell’unità in Corea; negli anni ‘70 sono
poi arrivati i primi focolarini e la comunità si è diffusa.
Sono onorato e molto commosso di trovarmi qui a rappresentare il
nostro popolo: mai l’avrei pensato; con voi ringrazio la Madonna.
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