Chiara Lubich

e la Valle

di Primiero

 
 

Silvester Gaberšček e Mateja Boštjančič, Slovenja

(949 Kb, durata 6'31'')


Siamo lieti ed onorati di poter essere presenti oggi a questa manifestazione.
Le Mariapoli che si sono tenute in questa valle negli anni ’50 hanno visto anche la partecipazione di alcune persone della Slovenia. Erano anni quelli, per noi, in cui la separazione tra l’Europa dell’est e dell’ovest era segnata dalla così detta cortina di ferro. Nonostante queste barriere però, persone vicine al confine munite di ‘lasciapassare’ – documento speciale per quanti vivevano nel territorio di frontiera - sono riusciti a partecipare a quegli incontri estivi, a riempire i polmoni di aria pura e a bere dalla sorgente di quell’avventura evangelica che Chiara aveva incominciato a Trento. Era quello un periodo difficile per noi, ma allo stesso tempo ricco di contenuto e pieno di sfide.
La scintilla di quella potente fiamma di vangelo vissuto che il Movimento dei focolari portava, ha acceso piccoli ‘fuochi‘, all’inizio, poi sempre più grandi, in diversi posti della Slovenia, della Croazia, della Serbia e delle altre repubbliche della ex Jugoslavia e, con gli anni, anche dei paesi limitrofi: Ungheria, Bulgaria e Romania.

 

 

Con Chiara Lubich

 

da Primiero al mondo

 

Appuntamenti

 

Testimoni

 

Documenti

 

Fraternità tra i popoli: utopia o speranza

 

Contatti

 

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Dieci anni dopo la Mariapoli di Fiera del ’59, siamo riusciti a fare la prima Mariapoli presso un santuario Mariano vicino a Novi Sad in Vojvodina, per una settantina di persone provenienti dalle diverse parti della allora Repubblica Socialista Federativa Jugoslava,.
Negli anni seguenti il numero dei membri della famiglia focolarina cresceva rapidamente, tanto da rendere necessaria l’organizzazione di varie e sempre più numerose Mariapoli in diversi punti della ex Jugoslavia, come anche in Ungheria, Bulgaria e Romania, nonostante il continuo occhio vigile della polizia e delle autorità politiche dei regimi di allora. Non vi nascondiamo che qualche paura l’abbiamo passata ma, in tutto questo tempo, abbiamo comunque sentito un sicuro sostegno dall’Alto.
Una caratteristica che abbiamo sempre sperimentato in Mariapoli, anzi, una realtà che si poteva toccare con mano, era una speciale atmosfera di fraternità. Persone appartenenti a diversi popoli, culture, convinzioni… riuscivano a comporsi in famiglia. E’ quanto abbiamo potuto costatare anche negli anni in cui i Balcani sono stati segnati dal sangue.
Anche allora abbiamo potuto tenere ogni anno la Mariapoli in Slovenia a Bohinj, in una vallata delle Alpi Giulie. La bellezza della natura faceva da sfondo a questa esperienza straordinaria che si viveva fra tutti. Una vera oasi di pace. Molti dei mariapoliti provenivano dai fronti della guerra, alcuni erano membri di eserciti in lotta tra loro, ma alla fine, si ripeteva sempre la stessa esperienza: i partecipanti – una volta appartenenti addirittura a 14 popoli ed etnie - erano spettatori di tanti veri miracoli di riconciliazione che Dio andava operando tra tutti. Persone che qualche settimana prima si guardavano attraverso il mirino del fucile si ritrovavano ora insieme a donare a tutti, alla fine della Mariapoli, la loro esperienza di fraternità ritrovata, di perdono, suggellato, tra lacrime di commozione, da un patto di misericordia e d’unità.
E’ per questo che sentivamo quasi il dovere di essere presente oggi qui a ringraziare Dio per aver ispirato le Mariapoli, per ringraziare Chiara per la sua fedeltà al carisma dell’unità e per ringraziare anche tutti voi della valle di Primiero che ha saputo essere la degna culla di questa straordinaria esperienza.
Gli anni della divisione tra l’Europa dell’Est e dell’Ovest ci sembrano ora già alle spalle, e volevamo farvi anche partecipi della gioia che ha significato per noi l’apertura, nel 2004, dell’Unione Europea ai Paesi che fino a poco tempo prima erano divisi dalle cortine delle ideologie.
Per noi, in particolare, ha significato un passo deciso per superare pregiudizi e barriere sorti nel passato. Con i Giovani per un mondo unito del Movimento dei focolari della Slovenia e del Friuli Venezia Giulia avevamo fatto un percorso che comprendeva una serie di attività per esprimere cosa quell’evento significasse per gli uni e per gli altri, percorso che abbiamo condiviso anche con l’allora Presidente della commissione europea.

 

 

 

 

Leidy Vargas Ramirez, Colombia

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La Colombia è un paese bellissimo, con una grande ricchezza naturale e culturale ma che da 60 anni vive una guerra interna che sembra “sotterranea” e che ha lasciato dolore e ferite profonde per tre generazioni.

Noi comuni cittadini pensiamo che il conflitto non ha nulla a che fare con noi, che è qualcosa che succede nella foresta e, siccome tu vivi in città, sei salvo. Poi, ad un certo punto, il “cerchio” inizia a chiudersi anche attorno a te: spostarsi da una città all’altra diventa sempre più difficile e, poco a poco, queste limitazioni della libertà personale diventano “normali”, come normale diventa il trovarsi al centro di una guerra d’interessi: quelli della guerriglia, dei para-militari e dello Stato. Questa situazione richiede una prudenza sempre più grande, al punto che la paura diventa la tua compagna di viaggio.
Nel 2004 la mia famiglia ha subito un attentato terrorista, ed il centro commerciale dove 6 dei miei fratelli avevano i loro negozi è stato distrutto da una bomba. I miei erano tutti illesi ma l’attentato ha provocato 12 morti e tanti feriti. Le fiamme hanno consumato il frutto del lavoro e gli sforzi di tutta una vita e la speranza sembrava dileguarsi insieme al fumo e alle macerie.
Dentro di me c’erano i sentimenti più vari: rabbia, preoccupazione… ma soprattutto un immenso dolore per le vittime e le loro famiglie.

Mi chiedevo: e adesso cosa succederà? Dovremo cominciare tutto da capo? Ma cosa pensano i terroristi? Quali sono le loro motivazioni?

 

In quei istanti, in mezzo alla confusione, ai cellulari che non smettevano di squillare, ai telegiornali che davano notizie parziali, che ho compreso che tutto quello che era successo aveva senso solo guardando a Gesù sulla croce. Anche Lui aveva era stato ucciso senza un perché, anche Lui si era sentito solo, lontano da Dio, forse era stato arrabbiato e confuso come me… ed io potevo unire il mio dolore al suo. Quella sera ho capito che Gesù aveva chiesto al Padre l’unità tra tutti, guerriglieri compresi, e all’interno di ogni popolo e tra tutti i popoli, e aveva pagato questo con la vita.
Ho ritrovato la speranza nei confronti di questa situazione che tutti, in Colombia, ritengono senza soluzione e ho iniziato a mettere in pratica l’amore nel concreto impegnandomi, insieme a tanti altri, direttamente in progetti di partecipazione attiva, di sviluppo sociale ed educativo per il mio Paese.

Uno di questi progetti coinvolge tutta una città di 25.000 abitanti: dagli enti amministrativi, alle industrie, al sistema educativo e alle circoscrizioni cittadine. Abbiamo creato uno spazio dove insieme si progetta la “città” che vorremmo e si cercano i mezzi per raggiungerla. Sappiamo che è una strada lunga e che per sanare le ferite profonde e le difficili condizioni sociali ci vorrà una generazione tutta nuova, perciò sono progetti a lungo termine, iniziati nel 2005 e proiettati nell’arco di 20 anni, in tutti i campi e le sfere della vita sociale.

Alcuni di noi si sono trovati coinvolti nei dialoghi ufficiali aperti tra il Governo colombiano e l’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale), uno dei gruppi della guerriglia organizzata. Nel 2005 è nata “Casa de paz” (Casa di pace), uno spazio voluto dalla società civile per essere soggetto attivo nel processo di pacificazione. Siamo stati chiamati formalmente a prenderne parte fino a partecipare nel 2006 al quarto dialogo istituzionale, tenutasi fra il Governo e l’ELN, a L’Avana.

Vi è stato un momento molto critico nel 2007, ma mentre si interrompeva il dialogo, un portavoce della guerriglia, con cui si era stabilito un rapporto profondo, parlando con noi riconosceva la limitatezza di una vita spesa lottando contro e denunciando senza annunciare un mondo nuovo.
Anche in Colombia si tengono le Mariapoli, come quelle nate in questa valle e questo ex guerrigliero, che ormai ha scontato il lungo carcere, ha voluto parteciparvi e ha detto:
“... qui si comprende che amare è dare la vita per gli altri. Continuerò a lavorare nel processo di dialogo tra l’ELN ed il governo, pronto a dare la mia vita per la pace. Potrei lasciare tutto per fare finalmente una vita tranquilla, ma non posso. Devo restare là dove sono per costruire la pace. Voglio trasformare la realtà: questo è il significato del vero amore. …”.

 

 

 

 

Yannick Clabaut, Francia

L'Ideale dell'Unità in Africa

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Mi chiamo Yannick Clabaut, sono francese ed ho conosciuto il movimento dei focolari da adolescente nel nord della Francia, negli anni sessanta.
Fra le notizie del movimento che si stava espandendo dappertutto, sono stato colpito subito di ciò' che stava accadendo, proprio in quegli anni, in Camerun, a Fontem: un incontro speciale tra movimento dei focolari e Popolo Bangwa.

Questa tribù del Sudovest anglofono del Camerun stava estinguendosi per la situazione di isolamento estremo che lo impediva di affrontare efficacemente gravi problemi di salute, come epidemie di malattie infantili e anche la famosa malattia del sonno.

 

La mortalità infantile superava il 90% e il capo tradizionale, il Fon (il re), nella desolazione e pianti per la morte di tanti suoi figli, adunava ogni settimana con tanta fede tutta la popolazione per pregare Dio di venir loro in aiuto. Dopo due anni di preghiere incessanti, vedendo che Dio non ascoltava, il Fon mando' messaggeri, con un po' di soldi, al capo dei cristiani, il vescovo di quella provincia.
E' cosi che, durante il Concilio Vaticano Secondo, questo vescovo propone a Chiara di mandare a Fontem alcuni focolarini medici ed infermieri che lavoravano già in alcune strutture della sua diocesi. Chiara mando' subito il primo gruppo che si mise immediatamente al lavoro, curando i bambini e gli ammalati con i pochi mezzi a disposizione e vivendo fra i Bangwa nelle loro case di paglia. Chiara stessa venne nel 66 e nel 69, stabilendo subito una profonda intesa con il Fon e con la popolazione. E li' Chiara, vedendo tutta la valle – non c’era quasi niente – intuì che lì, in quella foresta sarebbero accorse persone di tutta l’Africa e di tutto il mondo: “ per vedere come si risolvono i problemi delle malattie e del sottosviluppo con l'amore reciproco!”. Così, nell’intesa del Fon con Chiara si progetto' di costruire a Fontem un ospedale e anche un collegio con scuole secondarie. Con gli anni la collaborazione fra Bangwa e focolarini è cresciuta (nello stesso spirito delle prime Mariapoli) e veramente sono cominciate ad arrivare persone delle più diverse nazioni africane, portate anche da missionari che avevano sentito parlare di questa nuova esperienza.
E’ proprio in quegli anni che, dalla gioventù in contestazione, è nato il Movimento Gen, come “generazione nuova” del Movimento dei focolari.
Io personalmente, mi sono trovato subito attivo fra i Gen, che volevano, come dicevano nel loro programma mondiale, “fare giustizia”, e cioé ripagare il debito dell'occidente in confronto al continente africano, con una grande ‘operazione’: “Operazione Africa” si chiamava, al fine di raccogliere i fondi necessari per la costruzione di questo ospedale e altre strutture di Fontem. Cosi anche io ho lavorato durante i fine settimana, lavando macchine davanti ai supermercati o raccogliendo quintali di carta vecchia! Ed ogni anno venivamo informati - con tutti i Gen del mondo - dei progressi delle costruzioni a Fontem e ci lavoravamo con passione. Non sapevo ancora, che qualche anno dopo, sarei partito anch'io, come giovane focolarino infermiere per lavorare a Fontem: eravamo nel 1975. Con gli aiuti venuti dall’”Operazione Africa” si poté realizzare una vasta campagna, che, insieme al lavoro di ricerca dei medici, segno’ definitivamente il declino dell’endemìa.
Sono rimasto 14 anni ed il Camerun è diventata la mia terra! Nella valle della morte - come si chiamava - o valle delle mosche - è nata una bella città, diventata Prefettura, che fà la fierezza del suo popolo, non solo per tutti i numerosi sviluppi raggiunti (come le 3 scuole secondarie, l’ospedale e i vari dispensari, ma anche luce, telefono e perfino internet!), ma anche per la sua notorietà in tutto il mondo!
Chi ha potuto essere presente quest’anno 2009 durante le celebrazioni organizzate per il “Cry die” (ossia la giornata di conclusione del lutto ad un anno della scomparsa di Chiara), puo’ testimoniare quanto profonda sia stata la trasformazione del tessuto sociale di Fontem, a cominciare dai capi tradizionali, che ormai condividono anche loro le loro esperienze ad edificazione della comunità.
In questi ultimi anni 8 ho vissuto in Burundi, dove questo spirito d’unità è arrivato da Fontem già negli anni 70.
Come si sa, il Burundi è stato più volte lacerato dai violenti scontri che hanno destabilizzato tutta la regione detta dei Grandi Laghi, con la divisione sistematica della popolazione in due gruppi etnici (Utu e Tutsi), che hanno lasciato in tutte le persone delle ferite molto profonde, perché in tutte le famiglie ci sono state delle vittime. Posso testimoniare che le migliaia e migliaia di persone che hanno fatto loro questo ideale di unità in tutto il territorio della piccola nazione burundese, non solo hanno salvato eroicamente molte vite umane a rischio della loro propria vita (gli esempi sarebbero innumerevoli), ma hanno salvaguardato l’integrità e l'unità della nazione.
Un fatto avvenuto nel 96 rimarrà un esempio luminoso di questa eroicità, quando un gruppo di ribelli armati si è presentato la notte alle porte del seminario minore di Buta, chiedendo agli studenti di separarsi in due gruppi secondo le loro etnie di origine, Utu o Tutsi. Questi giovani hanno preferito essere fedeli fino alla fine al loro ideale di unità, preferendo morire piuttosto che separarsi. Sono morti in 42 massacrati sul momento e sono tutti sepolti lì in quel luogo che è diventato un simbolo per tutto il Burundi, il “Santuario dei Martiri della Fraternità” e i loro diversi visi sorridenti dipinti sul muro, continuano a gridare: “Noi abbiamo creduto all'amore”!
Come si sa, il Burundi è stato più volte lacerato dai violenti scontri etnici (tra l’etnia Utu e quella dei Tutsi), che hanno destabilizzato tutta la regione detta dei Grandi Laghi ed hanno lasciato in tutte le persone delle ferite molto profonde, perché in tutte le famiglie ci sono state delle vittime.

 

 

 

Chiara (Primiero) e Chantal (Tanzania)

Progetto leReti, Valle di Primiero
 

(678 Kb, durata 4'39'')

 

 

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